Francesco Ardissòn
Francesco nacque a Sassari nel 1853 in via Lacona e perse subito la madre a soli due anni a causa del colera.
Domenico si risposò poco tempo dopo con Gavina Demuro. La seconda moglie di Domenico fu tutt’altro che una madre, dato che odiava così tanto Francesco da arrivare a svegliarlo con dei tizzoni ardenti sotto ai piedi. Francesco, a soli 11 anni, si ritrovò a vivere per strada ed a nutrirsi dei resti dei pasti dei militari. La notte la passava sotto le carrozze da trasporto e per evitare di bagnarsi duran- te le piogge posizionava dei sassi intorno alla carrozza, in modo che l’acqua non entrasse nel suo giaciglio.
Intorno ai 13-14 anni lavorò come cocchiere sulle diligenze che collegavano Sassari-Cagliari e Perfugas-Sassari. Divenne molto amico con il datore di lavoro e nonostante la paga inadeguata, che comprendeva solo vitto e alloggio, Francesco visse felicemente in quegli anni poiché non fu più costretto a dormire sotto i carri che sostavano nella cinta daziaria nei pressi di piazza Sant’Antonio.
Nel 1873 il padre Domenico, probabilmente influenzato dalla matrigna, si rifiutò di pagargli la somma di 1000 lire per otte- nere l’esonero dal servizio militare. Francesco non lo perdonò mai.
Fortunatamente, una volta uscito di prigione, Domenicone decise di aiutarlo e gli lasciò in eredità la sua parte, quella della moglie e la parte che comprò dalla sorella Maddalena Ardissone.
Poco tempo dopo Francesco Ardissòn sposò la cugina Maddalena Schiappacasse, figlia di Maria Ardissone e Tomaso Schiappacasse, ereditando così un’altra parte dell’azienda di famiglia. Acquistò infine la parte del padre, che non ricevette mai dato che Domenico lo diseredò, divenendo così l’unico proprieta- rio dell’impero oleario creato da Agostino e Pasquale. Francesco sembrava nato per amministrare l’azienda di famiglia, ma probabilmente il motivo per cui divenne ricco fu l’aver fatto conoscenza, a soli 11 anni, del reale valore del denaro.
Francesco era una persona molto generosa, tanto da dedicar- si, insieme alla moglie Maddalena, a molteplici azioni bene- fiche nei confronti degli ordini religiosi, dei cittadini poveri e soprattutto degli amici, che venivano invitati a viaggiare insieme a lui negli Stati Uniti d’America.
Il 1905 fu un anno tragico, per Francesco, a causa della morte della moglie Maddalena Schiappacasse, alla quale dedicò un monumento funebre a forma piramidale. Lo scultore Andrea Usai venne incaricato di occuparsi del- la costruzione della famosa tomba della famiglia Ardissòn che venne successivamente definita una “affermazione vigorosa e geniale nel campo artistico”. La piramide è fatta di granito della Maddalena ed è alta una decina di metri. Molte sculture di cui è addobbata seguono un tema egiziano, ma quello d’importanza mag- giore si trova sul retro della piramide e si tratta proprio della dedica di Francesco Ardissòn alla moglie Maddalena Schiappacasse. L’amata è stata raffigurata all’ingresso dello stabilimento industriale di San Paolo, mentre faceva carità ad una fila di poveri che, secondo un cronista contemporaneo, si tratta di persone realmente esistite. Sulla destra della scultura dedicata a Maddalena venne posto Mercurio, raffigurante lo spirito del lavoro o genio del commercio.
Nel 1907 fu collocata la seconda scultura raffigurante la morte che, avvolta nel suo mantello, allunga le sue mani scheletriche pronta a reclamare un gruppo di anime, raffigurate con dei corpi travolti da un forte vento, lo stesso vento che muove la veste della “Grande Mietitrice”.
Dietro quest’ultima si trova un allegoria del “Dolore”, rappresentata da una figura femminile che, nuda e in un gesto di inconsolabile desolazione, si piega su se stessa.La perizia tecnica, la novità d’impostazione, ma anche il coraggio nel cercare qualcosa di nuovo vennero apprezzati dagli artisti contemporanei. Andrea Usai venne menzionato ne “La Nuova Sardegna” del 1907 dicendo che “fa molto, anzi fa troppo, poiché qui dove il culto dell’arte è avvisato da pochi, egli ha saputo non solo conoscere le tendenze dell’arte contemporanea, ma intuire bensì una forma d’ar- te spiccatamente personale”.
Intorno al 1907, Francesco Ardissòn entrò in società con i due cugini GioBattista Costa e il Cav. Gervasio Costa: il nome delle concerie cambierà in “Concerie cugini Costa e Ardissòn”. In questo modo Gervasio Costa riuscì ad evitare il crack finanziario per le celebri “Concerie Costa”. Il 9 giugno 1911 partì da Liverpool sulla Mauretania insie- me all’amico Dott. Michele Cano con cui visitò le cascate del Niagara. Non si sa con precisione quanto durassero i suoi viaggi, ma probabilmente tornò nello stesso anno.
A Sassari, nel 1913, costruì nella parte centrale dello stabilimento di San Paolo una nuova struttura per la lavorazione delle sanse con mezzi chimici, un essiccatore, un impianto di estrazione ad alambicchi ed acquistò una nuova caldaia multi tubolare “Babcock&Wilcoxl”. Inoltre fece costruire le scuderie, la falegnameria ed assunse un maniscalco.
Apportò modifiche alla casa padronale aggiungendo decorazioni dal significato eclettico e di stile liberty.
Lo stabilimento adottava un sistema di produzione che, grazie al vapore ottenuto dalla combustione delle sanse esauste, consentiva un utilizzo completo del prodotto, facendo uso di un processo ecologico ed economico. In seguito aggiunse un deposito di tabacco e di sanse esauste.
Già dai primi del ‘900 Francesco diventò milionario e, secondo il figlio Gianni, il suo patrimonio intorno al 1915 arrivò a circa 10 milioni di lire.
Intorno al 1920 l’azienda prese il nome di “Stabilimento a vapore San Paolo/ fabbrica di olio lavato e di solfuro, Sapone uso Oneglia”.
Si rese molto disponibile per la città di Sassari, finanziando spesso lavori di essenziale importanza ed allargando il proprio campo alla compravendita di aree ed immobili. Quando usciva per dirigersi al centro passava di fronte ad un palazzo in via Aurelio Saffi ed ogni giorno veniva sbeffeggiato da un inquilino, così quando il palazzo venne messo in vendita ne approfittò per dargli una lezione. Francesco acquistò il palazzo e, per beffare l’inquilino burlone, decise di sfrattarlo di casa.
Nel 1923 fece ristrutturare il calzaturificio della “Società Anonima Salvatore Dau” per farlo divenire sede dell’allora “Regio Istituto d’Arte di Sassari”, oggi “Liceo Artistico Filippo Figari”. Finanziò la costruzione della pavimentazione di Piazza d’Italia, della scuola di San Donato e del “Regio Istituto Tecnico Alberto La Marmora”, oggi Liceo Linguistico “Margherita di Castelvì”.
Quando Francesco inaugurò la scuola di San Donato fece un discorso sotto richiesta dei politici sassaresi e disse ai ragazzi: «Voi dovete studiare per non farvi prendere in giro da questi signori notabili.»
Un aneddoto tramandato fino ai giorni nostri racconta la storia di un errore commesso dall’Ing. Raffaele Oggiano. Il tetto del “Regio Istituto tecnico Alberto La Marmora” venne progettato senza tiranti, indispensabili per reggere l’intera struttura. Francesco, essendo anche un abile costruttore, fece notare immediatamente l’errore all’Ingegnere, che però preferì non fare modifiche al progetto menzionando una forza d’attrito che permetteva di fare a meno dei tiranti.
Il tetto venne costruito e gli operai, rendendosi conto dell’in- dispensabilità della struttura portante, ripararono all’errore. Al suo ritorno, l’Ing. Oggiano dovette pagare i costi aggiuntivi. Francesco Ardissòn diventò in seguito il principale creditore del Comune di Sassari, creando all’ente dei grossi problemi per la restituzione del denaro. Il Comune gli doveva 977.518 Lire dell’epoca.
Durante il ventennio fascista Francesco costituì, con le famiglie Azzena e Carlini, il S.O.D.O. (Sindacato Olio di Oliva) per contrastare l’azienda supportata dal regime, la Gaslini, che aveva recentemente aperto un impianto a Porto Torres.
Francesco, dopo la perdita della moglie si risposò con la governante, Luisa Marras, da cui ebbe otto figli di cui due maschi.
Francesco Ardissòn era molto famoso anche per la sua serietà sul lavoro. Angelo Manai raccontò di suo padre Pietrino, di professione coltivatore di grano che, intorno al 1920 chiese un prestito di 500 lire per l’acquisto di un paio di buoi.
Per la consegna gli fu dato appuntamento allo stabilimento di San Paolo alle cinque del mattino. Pietrino Manai, ritenendo che l’orario fosse alquanto indiscreto, si presentò sul posto alle otto. Appena arrivato venne rimproverato per il ritardo e fu invitato a ritornare il giorno seguente, facendo attenzione ad essere puntuale. Manai ritornò il giorno dopo all’orario richiesto e rimase affascinato dalla serietà di Ardissòn poiché lo trovò seduto nel suo ufficio, pronto a svolgere l’operazione.
Durante il fascismo era obbligatorio mandare a scuola i figli con divise particolari. Gli Ardissòn preferivano discostarsi dai movimenti politici, soprattutto dal fascismo. Il figlio Francesco, suo omonimo, si presentò ad una manifestazione senza divisa e venne subito inquadrato dal federale fascista che lo cacciò dalla scuola in malo modo. Dopo una settimana fu costretto a comprare la divisa.
Francesco era famoso in città anche per la beneficenza che faceva per i poveri insieme alla prima moglie Maddalena Schiappacasse. Ospitò in casa sua una vecchina di nome Gavina Langiu, alla quale comprò anche una tomba al cimitero monumentale. Anche il suo ex datore di lavoro, una volta vecchio e malato, venne ospitato nella casa padronale fino alla morte. Francesco si sentì in debito con lui per esser stato risollevato da quella situazione di estrema indigenza. L’intera città era a conoscenza delle sue imprese benefi- ciarie, così un giorno si presentò da Francesco il segretario federale del P.N.F. Leonardo Gana e gli chiese 100.000 lire di sottoscrizione. Ovviamente il magnate oleario non accettò l’estorsione e venne successivamente convocato in prefettura dove venne schiaffeggiato e costretto cedere i soldi.
All’epoca, con quella somma ci si poteva comprare un intero palazzo . Nonostante tutto riuscì a dimostrare il proprio atteggiamento antifascista.
Francesco viaggiò spesso per l’Europa e per l’America. Negli anni precedenti al 1929, prima del crash di Wall Street, viaggiò con il suo amico Masedu a New York per vendere insieme a lui una grande quantità di formaggio.
Una volta arrivati a destinazione si recarono in un Hotel per passare la notte. Mentre dormivano furono drogati e il for- maggio gli venne rubato. Al povero Masedu, che aveva speso tutto il suo denaro, venne una crisi isterica e morì solo, due anni dopo, all’ospedale psichiatrico Rizzeddu a Sassari.
Dopo una vita intensa passata a dedicarsi alla famiglia, al lavoro, ad aiutare i bisognosi e ad essere un grande ami- co, Francesco morì a Sassari il 13 marzo 1940 lasciando ai due figli maschi la sua eredità.
I figli, Franco e Gianni Ardissòn, nel 1945 costruirono una raffineria per lavorare l’olio di semi grezzo che lo stabilimento importava a Sassari.
L’olio, per essere raffinato, doveva subire una lavorazione divisa in quattro fasi: la neutralizzazione, la decolorazione, la winterizzazione e la deodorazione. Lo stabilimento venne gestito dai due col nome di “Ditta Francesco Ardissòn” fino al 1963, anno in cui i due si separarono e la ditta cambiò il nome in “Ditta Francesco Ardissòn di Gianni Ardissòn”. L’attività industriale procedette fino ai primi anni Novanta, fino alla chiusura del famoso stabilimento di San Paolo.
L’attività industriale ebbe una durata di quasi due secoli. Ancora oggi è possibile ammirare l’opificio Ardissòn. Il 19 e 20 marzo 2016, il FAI ha aperto le porte dello stabilimento permettendo ai cittadini sassaresi di cono- scere la storia della famiglia ed ammirare l’immenso stabilimento Ardissòn.
Probabilmente in molti, dopo esser venuti a cono- scenza della storia di Francesco Ardissòn, si saranno chiesti come mai, dal 1940, il Comune di Sassari non abbia mai dedicato un monumento o una via al filantro- po, oleario, costruttore e amico della città. È probabile che gli amministratori sassaresi contempo- ranei non vollero ricordare Francesco a causa del suo distaccamento dalla politica.
La grandezza di Francesco Ardissòn, anche se ignorata da chi aveva il dovere di riconoscerla, non verrà mai dimenticata dai cittadini, dai suoi amici e dai benefici che ha portato alla città di Sassari.
Le origini
Agostino e Pasqualino giunsero a Sassari da Diano Marina intorno al 1805 con il cognome “Ardissone”. Agostino nacque a Diano Marina nel 1781 e si sposò con Maria Natale Rossi, parente del garibaldino Andrea Rossi. Dal matrimonio nacquero molti figli, ma quelli giunti in età adulta furono Antonio, Maria, Maddalena e Domenico, conosciuto anche come Domenicone.
Il caso Ardissone
Arrestarono venti persone, tutte accusate di far parte di un’associazione criminale nata a Sassari dopo il 1848 e che durò fino al 1856 circa. Domenicone venne accusato di essere uno dei capi dell’associazione criminale e il mandante degli omicidi di Nicolò Siri, del carpentiere Gavino Mura e del fratello Antonio, ucciso insieme alla moglie Maddalena Ottonello